Ecco La "Madeleine Guffier " : un Rubens per i Gonzaga ?
Vendredi 02 juin 2023
La Voce di Mantova
Incanto d’arte Domenica in Francia. Presso lo Château Artigny a Montbazon, ad un tiro di schioppo da Tours e da Amboise (per gliamanti dei ricordi artistici e gonzagheschi), sarà battuta una Maddalena ruben - siana (per essere precisi lascheda in catalogo la definisce «par l’atelier de Pierre Paul Rubens»). Si tratta di un raffinato dipinto che si colloca assai vicino alla mano di Rubens, se non accostabile al maestro stesso. Di più: l’opera sembra provenire dalle collezioni gonzaghesche. La tavola (alta 64.5 e larga 48.8 cm) è composta in una cornice antica in legno intagliato e dorato sul cui coronamento compare la scritta «Magdeleine | Collection| du Duc de Mantoue». Sulretro due sigilli in ceralacca testimoniano l’appartenenza alle collezioni di Federico di Prussia e della famiglia Amadori di Bologna. E, secondo la ricostruzione delle proprietà, secondo la tradizione familiare il dipinto sarebbe appartenuto ai duchi di Mantova, per poi giungere probabilmente nella raccolta di Etienne Gueffier (1573-1660), a Roma, intorno al 1630. Quindi, per discendenza, sarebbe arrivata allo Château de Saint-Beauzire, nell’Haute Loire e, infine, negli anni Cinquanta del secolo scorso), in una collezione privata in Auvergne. Interessanti anche le pubblicazioni: da Marcel Röthlisberger (An “Ecce Homo”by Rubens, Burlington Magazine, dicembre 1962, p.542) a Didier Bodart (La Madeleine Gueffier de Pierre Paul Rubens, in «Essays in honor of professor Erik Larsen at the occasion of his 90th Birthday», Mexico et Pérouse, 2002, pp. 13-20). Ma non solo: è nota l’opinione del conservatore del Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique, Léo van Puyvelde, che affermava: «La Madeleine (...) est une œuvre de la main de P. P. Rubens. Je date cette oeuvre du maître autour de 1613-14». Il dipinto è di alta qualità e potentemente evocativo. La Maddalena compare a mani giunte, i lunghi capelli a cascata sulle spalle, perle e cristalli al diadema, agli orecchini e alla collana che le cinge il decolleté. L’abito regale è aperto e il seno appare appena nascosto da un velo, come si conviene nella pittura controriformata. Sulla provenienza così scrive Stéphane Pinta, esperto della casa d’aste: «Secondo la tradizione di famiglia, questo dipinto avrebbe fatto inizialmente parte delle collezioni ducali di Mantova nel XVII secolo, poi sarebbe passato in quelle di Etienne Gueffier. Mecenate, collezionista e appassionato d’arte, Gueffier rimase in costante contatto con Mazzarino e Colbert, fungendo probabilmente da loro intermediario per l’acquisto di opere. Il suo status di diplomatico e la sua residenza in Piazza di Spagna gli hanno permesso di confrontarsi con grandi nomi della Roma artistica, come Nicolas Poussin e Claude Lorrain. Nel suo testamento lasciò in eredità parte della sua fortuna per la costruzione dello scalone monumentale della Trinità dei Monti. Il dipinto rimase alla famiglia Gueffier fino agli anni Cinquanta, quando entrò a far parte dell’attuale collezione, insieme al bozzetto per un Ecce Homo autografo di Rubens». E ancóra, per quanto riguarda il soggetto: «La Maddalena è un soggetto frequente nella pittura seicentesca, pregiata sia per l’espressione delle passioni, sia per la devozione. Dopo il Concilio di Trento, gli artisti sottolineano il suo pentimento. Le mani giunte, la carnagione rossa delle sue guance e gli occhi alzati al cielo accennano alle lacrime. La sua tiara e i suoi orecchini sono ornati di perle, entrambi simboli di purezza e lussuria, paragonati alle lacrime della santa e annuncianti la sua penitenza. Allo stesso modo, il mantello dorato bordato di ermellino ricorda il lusso della sua vita passata. La Maddalena è qui rappresentata con capelli rosso oro, abbondanti e rilassati, labbra socchiuse e petto sensuale leggermente coperto. La scena si svolge in un paesaggio della grotta di Sainte-Baume dove ha concluso la sua vita. Ricordando le composizioni di Tiziano su questo soggetto, vicino a Rubens nel trattamento della carne, l’opera potrebbe essere attribuita a uno stretto collaboratore del maestro di Anversa come Juste d’Egmont (1601-1674) o Jan van den Hoecke (1611-1651). Il primo lavorò nello studio di Rubens dal 1620 e collaborò al ciclo della Vita di Maria de’ Medici per il Palazzo del Lussemburgo, mentre la presenza del secondo, dopo l’apprendi -stato ad Anversa, è attestata a Roma tra il 1637 e il 1644, cioè presso coetaneo di Etienne Gueffier (1573-1660), emissario a Roma presso la Santa Sede, che vi risiedeva dal 1623». In realtà la sensazione che la pittura di Egmont sia già diversa e che l’opera possa essere più antica rimane. Sfumature che possono essereconfermate solo attraverso la diagnostica non invasiva e che potrebbero far propendere anche per il nome del maestro.